INCAPACI DI DECIDERE

INCAPACI DI DECIDERE

Incapaci di programmare e, soprattutto, di terminare quanto previsto. L’Ilva è in bilico tra chiusura e nazionalizzazione, il Mose non si è attivato mentre Venezia è andata sommersa, l’Alitalia in gestione commissariale continua a perdere, in attesa di capire quale sarà il suo destino. Questi tre casi sono collegati, come la punta dell’iceberg di un filo rosso che da troppo tempo percorre il nostro Paese. L’assenza totale di una visione di futuro e, quindi, di obiettivi. Per cui anche nei pochi casi in cui c’è una strategia, mille poteri di veto, vincoli normativi e burocratici, infinite richieste di pareri e autorizzazioni e una deresponsabilizzazione crescente, raramente permettono di concludere progetti avviati.

Si potrebbe parlare delle mille frane e dei mille lavori di messa in sicurezza che, anche se già finanziati, non vengono mai terminati, talvolta nemmeno iniziati. Poi, il caso dell’Ilva è emblematico. È da tenere aperta o no? Da nazionalizzare? Nessuno lo sa. Per cui la questione dello scudo – prima tolto, poi reintrodotto e poi tolto di nuovo – è la rappresentazione plastica di un Paese che gira a vuoto senza meta. Ma intanto si rischia che gli altoforni vengano spenti, che i debiti delle imprese fornitrici non vengano onorati, che quasi 20.000 persone vadano a casa, che l’Italia perda più di un punto di pil. Al di là degli ultimi sviluppi, è evidente che da decenni nessuno ha idea di quale debba essere il futuro di Taranto.

Per non parlare di Alitalia, costata finora 10 miliardi di soldi pubblici di salvataggi. Per arrivare a cosa? A niente. Solo per avere un’idea, l’ultimo prestito ponte approvato con il DL fiscale è di 350 milioni di euro, mentre cancellare la flat tax fino a 100 mila euro ha garantito di 250 milioni di maggiori entrate e la tanto contestata tassa sulle auto aziendali ne porterebbe 300 milioni. Insomma, incapaci di decidere se ristrutturare la compagnia, venderla a Lufthansa o alla cordata guidata da FS, si è preferito alzare le tasse per finanziare questo stato infinto terminale dei Alitalia. Per andare dove? Difficile, anzi improbabile, immaginare un atterraggio morbido.

Lo stesso vale per Venezia. Dopo 30 anni di dibattito, nel 2003 iniziano i lavori del Mose. Ora, le inchieste da un lato e i dubbi sul funzionamento hanno posto seri dubbi sulla bontà del progetto, ma tenerlo fermo ora che siamo giunti ben oltre il 90% dei lavori, mentre sono già stati spesi 5,3 miliardi sui 5,6 previsti, sarebbe una follia. Eppure, da anni gli avanzamenti sono a passo di lumaca. Oltretutto, durante l’emergenza nessuno si è preso la responsabilità di attivare le barriere. Un’azione che avrebbe potuto evitare il disastro, ma che avrebbe avuto rischi enormi, per cui nessuno ha deciso, nessuno ha agito.

Insomma, più che del mancato coraggio il problema è altrove, cioè nelle troppe leggi. Nel corso degli anni una trama inestricabile di norme, spesso demagogiche, è stata costruita sull’onda dell’opinione pubblica. Leggi-manifesto che hanno paralizzato l’azione amministrativa e allargato a dismisura i poteri di magistratura ordinaria e contabile. Il risultato è la fuga dalle responsabilità, tanto è vero che per l’Anac le sole norme su trasparenza e anticorruzione occupano il 30% del lavoro della pubblica amministrazione. Di fatto, bloccando tutto.

Se a questo aggiungiamo l’incapacità di sbrogliare la matassa, è evidente che il risultato è la paralisi. La politica, visto che raramente ha un’idea di futuro, difficilmente fissa gli obiettivi. Per cui lavora solo sulle emergenze (o quando un tema diventa trend topic su Twitter), senza costruire mai una strategia. Ma così è come per il marinaio che non ha un porto dove approdare: nessun vento è favorevole. E si va alla deriva.

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