Lo Stato non paga i debiti e un’impresa su 5 fallisce*

Lo Stato non paga i debiti e un’impresa su 5 fallisce*

Ogni promessa è debito (pubblico). Il sospetto è che il santuario del Monte Senario, il lavacro penitenziale a cui Bruno Vespa – nel lontano 19 marzo 2014 – spinse un Matteo Renzi in vena di promesse, tra un po’ comincerà ad affollarsi. Solita storia, ma con un’altra drammaturgia.

«Se non abbiamo sbloccato tutti i debiti della pubblica amministrazione per il 21 settembre, vado a piedi in pellegrinaggio da Firenze a Monte Senario», promise il premier quando il debito dello Stato in capo alle imprese italiane era 60 miliardi di euro. Questi debiti sarebbero spariti in pochi mesi, e l’Italia avrebbe finalmente pagato «a 40 giorni, come in Francia e Germania», invece che 120 (quando pagava). Bene. Ora, da un report del Centro Studi Confimprenditori, quasi una piccola-media impresa su cinque (18,87%) vanta crediti ancora con la Pubblica Amministrazione. Mancano all’appello ancora 18 miliardi di euro «per liquidare interamente la somma che l’apparato pubblico deve alle imprese private». Non solo. Quasi un quinto dei fallimenti delle imprese italiane deriva dai debiti non pagati dallo Stato italiano. A ciò si somma lo stato di poderosa inefficienza della giustizia italiana che continua a pesare fortemente sul numero dei fallimenti. Quindi, una su cinque tra le imprese creditrici dello Stato – poco meno di tremila – fallisce proprio perché è finita nella palude stigia dei crediti non riscossi, appunto, dall’Idra mitologica della P.A. E, naturalmente, pure i tempi di pagamento slittano tra i 120 e i 90 giorni: un ritardo medio di 37,5 giorni contro i 27 della media europea. E dire che ce lo chiedeva l’Europa, di non avere il braccino corto.

I suddetti dati di Confimprenditori sono pressoché sconosciuti ai più, o, nel migliore dei casi, ignorati. Sia perché per controllare l’andazzo degli interessi e le vie imperscrutabili del denaro pubblico occorrono dei modelli econometrici costosetti. Sia perché gli stessi dati del ministero dell’Economia sono cristallizzati all’11 agosto del 2015 e non sono più stati aggiornati. Guarda caso. Secondo le vecchie stime, dei circa 60 miliardi di debiti risulterebbero essere stati stanziati circa 56,3 miliardi, erogati agli enti debitori 44 e pagati circa 38,6. Ne mancano all’appello un terzo. Non si capisce dove siano finiti. Fino all’11 agosto 2015, lo Stato aveva pagato 5,7 dei 7 miliardi che aveva di debito. Le Regioni ne hanno pagati 23 su 33. Gli altri enti locali 9 su 16. Il che significa che gli enti – soprattutto Regioni – non hanno utilizzato i soldi messi a disposizione per pagare i creditori, ma per fare nuove spese o coprire il pregresso disavanzo di amministrazione. La qual cosa, in un periodo di spending feroce, è quantomeno inelegante. Sempre secondo Confimprenditori che ha rielaborato i numeri Ocse, rispetto a sei anni fa, poi, i fallimenti in Italia sono cresciuti del 55,42%, passando dai 9.384 del 2009 ai 14.585 del 2015. «Il costante aumento del numero di aziende italiane fallite non ha eguali se confrontato con gli altri Paesi monitorati», si legge. Solo la Francia è come noi, Spagna, Germania e Olanda, per dire vedono calare i fallimenti dal 4% al 30%. E noi qui, a parlare di Italicum e Senati dimezzati… ?

*di Francesco Specchia, pubblicato su Libero del 12-10-2016

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