Vi racconto che cosa temono (e chiedono) le aziende per ripartire

Vi racconto che cosa temono (e chiedono) le aziende per ripartire

Per qualche giorno confessiamo di aver avuto una fiammella di speranza. E cioè che, di fronte alla devastante crisi economica che si sta concretizzando ogni giorno di più, questo governo potesse agire – per usare le parole del primo ministro – cum grano salis. Ma ci sbagliavamo di molto. Perché troppi sono stati gli errori commessi e, soprattutto, è abnorme il peccato originale: annunciare grandi soluzioni sui media, senza però conoscere nemmeno una briciola di come funziona la vita di chi produce, di chi fa impresa, di chi crea ricchezza.

L’elenco degli errori è lungo. Il disastro sul sito dell’Inps, l’ammontare esiguo del bonus per le partite Iva (600 euro per chi ha sempre pagato tasse e contributi suonano come una presa in giro). L’esclusione di molte categorie di lavoratori da ogni forma di protezione sociale. La cassa integrazione non ancora erogata. Prestiti alle imprese che, al momento, restano solo sulla carta. O l’annuncio di 400 miliardi di risorse attraverso il decreto “liquidità”, che in realtà si fondano sullo stanziamento di appena 1,7 miliardi di euro. Ma, purtroppo, non finisce qui, perché sembra che il governo non abbia idea del meccanismo su cui si regge un’impresa, specie se piccola (che in Italia sono il 95% del totale).

Molti negozi, artigiani e commercianti, sono costretti alla chiusura da ormai otto settimane. Altri ancora, come i ristoratori, chi lavora nel turismo, chi ha attività stagionali estive come un lido o un bar, non potranno lavorare per molti mesi. Anzi, molto probabilmente salteranno un anno. Allora, perché devono pagare i contributi previdenziali personali? Oppure, perché devono versare gli acconti fiscali? È assurdo che, invece di cancellare del tutto i versamenti obbligatori relativi al periodo di chiusura, questi vengano solo sospesi e rinviati di qualche settimana? Se il reddito relativo a questo periodo è andato perduto per sempre e non è recuperabile, perché mai bisogna pagare imposte e contributi?

Si dice, almeno negli annunci, che verrà garantita la liquidità alle imprese. Ma se poi a maggio ci si ritrova il conto delle tasse vecchie e nuove, quei soldi presi a prestito dovranno essere usati per ottemperare quei pagamenti. Così da ritrovarsi solo con ulteriore debito sulle spalle. Per cui è lecito attendersi che molti imprenditori non chiederanno i 25.000 euro (che comunque bastano per il 5% della platea potenziale), perché servirebbero esclusivamente per i versamenti obbligatori, oltre pagare affitti e bollette di acqua, luce, gas, rifiuti. Soprattutto se non ci sono prospettive di reddito futuro, non ha senso accendere un prestito e caricarsi di un debito. Tanto vale chiudere bottega subito.

Dopo otto settimane di lockdown fortunatamente l’emergenza sanitaria rallenta. Ma esplode la bomba economica. Gli altri Paesi, oltre ad aver già versato molti denari sui conti correnti di cittadini e imprese, non hanno solo predisposto dei piani per ripartire, ma in parte lì stanno già attuando. In Italia, invece, si litiga su tutto – tra Regioni e Governo, sulle mascherine, sui numeri, sulle task force, sull’app di tracciamento – ma non agisce mai concretamente. Su nulla. Intanto il debito pubblico aumenta, gli italiani sono sempre più allo stremo. E gli imprenditori si sentono sempre più presi in giro. Perché ormai hanno perso anche l’ultima speranza.

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