Ocse, la ripresa c’è ma è minima e non basta alle imprese

Ocse, la ripresa c’è ma è minima e non basta alle imprese

E’ un’Italia che deve fare i conti con dei timidi segnali di ripresa, come il Pil al +1%, ma che proprio perché timidi deve tenere conto di una proiezione che per il 2018 fissa il Pil a +0,8. E’ questa la fotografia scattata dall’Ocse e presentata durante l’outlook semestrale. A pesare sui dati positivi ma non troppo, la correzione sui conti pubblici del prossimo anno e la conseguente stretta fiscale già in parte adottata. Ecco perciò che l’Ocse ha richiamato l’Italia alla necessità di fare riforme strutturali e politiche fiscali moderate: un passaggio cruciale per innalzare in modo inclusivo e ridurre il rapporto debito-Pil.

Il tallone d’Achille dell’Italia resta perciò il debito pubblico, stabilizzato in rapporto al Pil ma ancora troppo alto. “Il governo – osserva l’Ocse – ha stanziato 20 miliardi per la ricapitalizzazione bancaria”, se la “cifra dovesse essere usata interamente ci sarebbe un incremento del debito pubblico pari all’1,2% del Pil”.

Nonostante il suo ampio settore manifatturiero, il contributo dell’Italia all’economia globale resta “limitato”: spiega ancora l’organizzazione parigina nel suo Economic Outlook. “Molte imprese sono piccole e soffrono di una bassa produttività” si legge ancora nel rapporto Ocse, sottolineando che  “l’inefficacia sociale e le politiche di formazione” hanno impedito all’Italia di “trarre maggiori benefici dalla globalizzazione”. Tra l’altro, il rapporto invita l’Italia ad aumentare “innovazione e competitività”.

Questo il quadro generale nel quale vanno fissati altri punti che fanno riflettere sul perché di una ripresa così lenta e complessa: l’ammontare della tassazione per le imprese toccherà il 61,2% secondo delle stime elaborate; lo Stato ha un debito con le aziende di oltre 60 miliardi e paga a 130 giorni rischiando di ricevere dall’Europa una procedura d’infrazione; le cosiddette tasse sul lusso hanno messo in ginocchio la nautica; con lo split payment saranno 310mila le pmi a dover garantire, nel 2017, 1 miliardo di Iva in più. E questo non può che lasciare con l’amaro in bocca pensando al rinvigorirsi di Equitalia, di cui s’era tanto sbandierata la fine ma che, assorbita dall’Agenzia delle Entrate, avrà accesso diretto all’anagrafe tributaria e alle entrate tributarie, aumentate nei primi 4 mesi del 2017 del 2,2%, portando nelle casse dello Stato un incremento di 2.738 milioni di euro in più rispetto ai primi 4 mesi del 2016.

Insomma il tendenziale del Pil è in calo, le piccole e medie imprese muoiono di tasse e di crediti non riscossi dalla Pa, non sappiamo come scongiurare lo scatto d’aumento dell’Iva e non ci hanno più detto niente sul taglio del costo del lavoro, però ci fanno sapere che aumenta il gettito fiscale ed Equitalia è più operativa di prima. Troppa grazia verrebbe da dire. Anche se sorge spontanea una domanda: come si reggerà lo stato fiscale quando per eccesso di tassazione l’impresa italiana cesserà di creare reddito?

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