BANCHE, NO ALLA STRUMENTALIZZAZIONE

BANCHE, NO ALLA STRUMENTALIZZAZIONE

È pronta a partire una nuova Commissione di inchiesta parlamentare sulle banche, versione 2.0, di quella già svolta sul finire della passata legislatura. Ed è ovvio che se ci sono stati degli abusi, delle malversazioni o anche delle colpevoli omissioni, debbano essere punite. Ma, oltre a non sovrapporsi alla magistratura ordinaria, bisogna fare attenzione a non scatenare una indiscriminata “guerra alle banche” per fini politici.

Gli istituti di credito, infatti, restano ancora il principale collegamento tra la finanza e l’economia reale visto che il 90% dei finanziamenti alle aziende è di origine bancaria.
Così, mentre in Italia negli anni passati si lodava la “solidità del nostro sistema” senza farevnulla, gli altri Paesi europei sono intervenuti massicciamente. Secondo Bankitalia, per salvare gli istituti di credito in Europa dal 2008 od oggi sono stati spesi 800 miliardi. Di questi 250 in Germania, 60 in Spagna, 50 in Irlanda e Olanda e 40 in Grecia, pari all’8% del pil, mentre in Italia, dopo gli interventi su MPS, le due Venete, le quattro “fallite” (Etruria, Marche, Ferrara, Chieti) e ora Carige, siamo intorno ai 20 miliardi, di cui buona parte in bond emessi dallo Stato che alla fine verranno rimborsati producendo un vantaggio per l’erario (come già accaduto per Monti e Tremonti-bond).

Insomma – per indecisionismo o per convenienza politica – siamo intervenuti più tardi e in misura assai inferiore agli altri Paesi. Intanto però, complici anche le nuove regole europee come stress test, vigilanza unica e bail-in, le banche sono arrivate a totalizzare il record di 200 miliardi di sofferenze e 150 miliardi di crediti incagliati (il 20% dei 900 mila miliardi a livello europeo). E, se pure quella quota è oggi scesa, il pericolo rimane alto, tanto più che negli ultimi mesi i bancari in Borsa hanno preso circa il 60%.

In tutto ciò, le vittime sono state imprese e famiglie che hanno scontato anni di credit crunch, faticando a ottenere prestiti e mutui per portare avanti le loro attività. Non c’è dubbio che negli anni, specie negli istituti locali, qualcosa sia andato storto visto che talvolta i prestiti erogati su territorio hanno risposto a logiche diverse da quelle economiche, ma certo il settore è stato indebolito sia dalla crisi economica, (se un quarto delle imprese è andato in difficoltà dal 2008 ad oggi non è un caso che le sofferenze fossero arrivate a pesare per un quinto del totale), sia da scelte strategiche sbagliate.

Insomma, uno scenario “sistematicamente” debole che merita più di un’inchiesta strumentale, conveniente alla politica. Gli istituti italiani, infatti, hanno un problema di “redditività”, come dice Draghi e come rilevato anche dalla Banca d’Italia. Per cui si può discutere dell’erronea corsa ad acquistare “sportelli fisici” nell’era del digitale, dell’arretratezza dei servizi digitali di pagamento, di collegamenti non perfetti con imprese e politica e di tutto ciò che si vuole, ma non si può mandare a gambe all’aria l’intero sistema. Anche perché da inizio 2016 a oggi si sono ridotti i flussi dei crediti deteriorati e la loro incidenza sul totale, sono raddoppiati i coefficienti relativi al patrimonio di miglior qualità e sono arrivate le sistemazioni degli istituti in crisi. Per cui, se non si vuole scatenare una becera guerra del “dagli al banchiere” o non si vuole credere o tantomeno seguire il vecchio adagio per cui “è più criminale fondare una banca che rapinarla”, è evidente che non si può fare a meno del principale canale di collegamento tra la finanza e famiglie e imprese. E le banche, come tali, devono essere tutelate; con o senza Commissione di inchiesta parlamentare.

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