Strano Paese l’Italia dove sembra si debba aver paura delle elezioni

Strano Paese l’Italia dove sembra si debba aver paura delle elezioni

Strano Paese l’Italia. Sembra quasi che delle elezioni, il più alto esercizio di democrazia ed espressione della volontà popolare, si debba aver paura. Si è votato da poco in Argentina e Bulgaria, in Repubblica Ceca a ottobre, in Germania a settembre. Anche durante i mesi più difficili della pandemia è stato il turno di Olanda, Israele, Polonia, Stati Uniti e molti altri. In primavera ci saranno le presidenziali francesi. Solo da noi, e solo tra i nostri parlamentari, le elezioni sono uno spauracchio da rinviare il più possibile lontano nel tempo. E con ogni mezzo.

Con l’avvicinarsi della nomina del nuovo Capo dello Stato la preoccupazione di molti deputati e senatori non sembra essere la designazione del miglior Presidente della Repubblica possibile, ma scongiurare lo scioglimento anticipato delle Camere e arrivare fino al 2023, così da conservare lo scranno (e il relativo stipendio) il più a lungo possibile. Complice il taglio di un terzo dei parlamentari, infatti, in tanti sono consapevoli che non saranno rieletti e che, finito questo giro di fortunata giostra, dovranno quindi tornare alla molto meno remunerativa vita precedente. Per cui sono disposti a tutto, anche alla forzatura di un bis di Mattarella. Questo perché la rielezione dell’attuale presidente sarebbe la soluzione che più allontanerebbe il voto anticipato. Lo vorrebbe il Pd e in fondo anche i 5stelle, il gruppo più ampio in Parlamento, ma anche quello più terrorizzato dal voto dei cittadini (altro che lotta alla “Casta”, altro che impeachment come chiedevano nel 2018). Tuttavia anche altre forze politiche, pur di conservare la loro posizione, sono disposte a congelare l’assetto uscito dalle elezioni del 2018, anche se ormai non più rappresentativo del clima del Paese, e disposte a mantenere in vita l’attuale governo. Magari attuando il Vietnam parlamentare, la resistenza passiva, ma l’importante è non alterare l’equilibrio politico perché questo aprirebbe una finestra di ritorno al voto.

Eppure, un po’ per responsabilità dell’esecutivo stesso e un po’ per colpa della maggioranza che lo sorregge, l’azione propulsiva delle prime settimane si è esaurita. Draghi ha impostato campagna vaccinale e scritto il PNRR, ma i successi si fermano sostanzialmente lì. Lo stesso “Recovery” è lontano dall’essere attuato, tanto che sia i sindaci che la Commissione europea hanno espresso preoccupazione. Ma non solo. La legge di Bilancio è arrivata tardi in Parlamento, è mediocre come le precedenti e sulle questioni più spinose decide di non decidere. Per esempio, pur stanziando 8 miliardi per il taglio delle tasse, non dice dove devono essere messi e mentre rifà il trucco a pensioni e reddito di cittadinanza, lascia tutto inalterato. L’elenco delle decisioni rimandate comunque è sterminato. Il disegno di legge sulla concorrenza lascia fuori i temi più importanti. La delega fiscale non ha un indirizzo preciso e, comunque, rinvia tutto al 2026. Mancano molti decreti attuativi, tra cui quelli per rendere effettive la riforma del processo civile e del processo penale.

Si dice che Draghi non voglia forzare la mano con i partiti per non spezzare l’attuale equilibrio e, soprattutto, non inimicarsi nessuno e non porsi così ostacoli per la scalata al Colle, a cui segretamente ambirebbe. Difficile dire quali siano le sue reali intenzioni, ma se questo governo avesse un altro nome certo non sarebbe così coccolato e idolatrato da tutti. E se i partiti non avessero paura di andare al voto e restituire la parola ai cittadini – come sarebbe normale in una democrazia – sarebbero così inermi, pronti a ingoiare di tutto. Purtroppo, al momento le riforme sono al palo, le grandi decisioni vengono rinviate, ma intanto le imprese sono costrette a navigare a vista, senza certezze, senza poter programmare (per esempio in ambito di edilizia, di innovazione, in materia fiscale). Purtroppo questa bonaccia potrebbe durare fino a metà 2023. Sarebbe inaccettabile. Solo che questo Paese è così strano da avere politici che hanno paura di fare politica. E andare al voto.

Stefano Ruvolo

Presidente Confimprenditori Nazionale, associazione che raggruppa 320 mila imprese di cui circa 70 mila in Sicilia.

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