È tornata la spesa pubblica

È tornata la spesa pubblica

Altro che procedura per debito pubblico eccessivo e manovra correttiva.

Lo Stato si è impegnato per altri 41 miliardi di euro per il prossimo anno, che vanno così a sommarsi ad una quota di spesa pubblica per un totale di circa 900 miliardi nel 2020. Una cifra assurda che blocca lo sviluppo e ingrassa “la Bestia” famelica, il moloch statale di cui gli italiani diventano sudditi, mentre dovrebbero essere i fruitori di un servizio. E che, prima o poi, obbligherà a interventi lacrime e sangue sulla pelle dei cittadini.

Anche perché le nuove e maggiori spese sono quasi tutte di tipo assistenziale, come certificato dal Ministero dell’Economia, che individua tre canali principali di nuove uscite: 18 miliardi di pensioni, 9 miliardi per il reddito di cittadinanza e 7 per spesa aggiuntiva di ministeri e enti locali. Purtroppo, solo 5 miliardi andranno agli investimenti pubblici, che sono la leva di quelli privati e che, inoltre, creano infrastrutture, edifici, servizi utili al presente e al futuro della società.

Ma i soldi dello Stato sono dei contribuenti, quindi di tutti i cittadini e sarebbe così necessario utilizzarli con maggiore raziocinio e un minimo di strategia di crescita (e non solo elettorale) in più. Altrimenti si continua a perseverare nella follia di capovolgere le funzioni: non più lo Stato al servizio delle persone, ma cittadini e imprese che lavorano per mantenere lo Stato.

Purtroppo la tradizione viene da lontano. Secondo l’Ocse, nel 1960 la spesa pubblica italiana pesava solo per il 28% del pil. Dopo si arrivò al 55% nel 1993, per poi obbligatoriamente scendere in temi di euro e spending review. E comunque ad oggi siamo al 48,6% del pil e l’anno prossimo saremo al 49,1%, mentre in Germania arrivano al 43% e in Spagna al 42%. E, oltre a questo, bisogna sottolineare che noi abbiamo ridotto gli investimenti, la spesa in istruzione e formazione, mentre abbiamo aumentato la spesa corrente. Così non abbiamo futuro.

In un momento di crisi in Gran Bretagna, per esempio, è stato effettuato un taglio ai dipendenti pubblici pari al 10% del totale e negli anni successivi il prodotto interno lordo britannico è cresciuto mediamente del 2% in più. Non solo perché si risparmia in stipendi, contributi e tasse, ma anche perché si eliminano posti di lavoro inutili e anzi controproducenti per la vita stessa dei cittadini. Perché deve essere chiaro: sono i contribuenti che pagano le amministrazioni per svolgere un servizio, perché questo fanno i cittadini di una comunità. Altrimenti si diventa sudditi di uno Stato assoluto.

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